Relazioni di Coppia: Amore e Dipendenza
Eros e pathos sono un connubio inestricabile, fonte d’ispirazione per artisti di tutte le epoche, e non sono pochi gli psicologi che si sono interrogati sulla natura dell’amore. Ma certi interrogativi sull’amore entrano prepotentemente nella stanza dello psicoterapeuta quando questi “fisiologici” patimenti diventano troppi. Il senso profondo del troppo amore, al pari della medicalizzazione di molti sentimenti umani , la melanconia che diventa depressione.
Interrogarsi sulle storie d’amore maledette, quelle segnate da sofferenze e perdizione, passione e auto distruzione, è qualcosa che ha sempre avuto un forte fascino ed oggi in particolare le storie torbide d’amore e sesso hanno trovato numerose ribalte mediatiche. In Tv ormai si sprecano gli esperti che commentano e “spiegano” gli esiti tragici di alcune di queste storie. Ascoltare gli aspetti morbosi e perversi è un po’ come guardare dal buco della serratura i drammi di un amore malato. Sollecita il voyeur che è in noi. Ma se mettiamo da parte questa parte meno nobile del nostro animo, interrogarsi sul senso profondo di certi legami d’amore può non essere necessariamente una profanazione di uno spazio indecifrabile.
Il legame di coppia, anche quello più malato ha una sua natura peculiare, un’organizzazione patologica decifrabile? È lecito accostare queste storie di amore “malato” ad una patologia? O stiamo solo costruendo una nuova patologia utile a far scrivere solo altri libri?
Certo, l’argomento è controverso, difficile rimanere indifferenti alle “donne che amano troppo” . Da alcuni anni si parla con sempre maggiore frequenza di dipendenze affettive o co-dipendenza per illustrare le storie di quelle pazienti, per lo più donne, che seguono i loro compagni nell’abisso della dipendenza da alcool o altre sostanze stupefacenti, vivendo tormentosamente la dimensione di coppia e mettendo a repentaglio salute fisica e mentale. Sono storie fatte di violenze psicologiche e fisiche quotidiane, accompagnate poi da infinite giustificazioni alle azioni riprovevoli del partner.
Bisogna essere consapevoli però dei rischi che si corrono quando si incomincia un discorso così ambiguo: parlare di dipendenza nelle storie d’amore significa creare un mostro. È innegabile che il termine dipendenza abbia assunto una connotazione quasi del tutto negativa, finendo per essere usato in psicoterapia per descrivere molteplici relazioni di coppie, da situazioni di stallo ad organizzazioni sado-mosochiosiche.
Amore e dipendenza rappresentano un connubio strettissimo: se in una relazione di coppia non fosse presente un certo grado di dipendenza, sarebbe giusto dubitare della natura amorosa di tale relazione.
Eppure le dipendenze sono un fenomeno sempre più diffuso e pervasivo. Sempre più frequentemente facciamo i conti con la sofferenza di individui lacerati dal desiderio irrefrenabile di assumere qualcosa o di non riuscire a rinunciare a qualcosa o qualcuno. Nello specifico, si è iniziato a parlare di dipendenza affettiva o codepandance per interpretare quei comportamenti di masochistica accettazione di violenze psichiche e fisiche ad opera del partner o per restituire un senso a quella vocazione tipicamente femminile all’auto-annullamento oppure a quel maniacale controllo sul partner riferito dalle molte “donne che amano troppo”. Questi comportamenti sono gli ingredienti essenziali delle tante storie di “folle” amore, in cui il partner diventa un oggetto di attenzione esclusiva che conduce , nella maggioranza dei casi la donna , a trascurare progressivamente aspetti essenziali della propria vita, compresa la propria incolumità.
La co-dipendenza poi è stata la definizione attribuita alle partner di pazienti alcolisti, tossicodipendenti, gamblers, che si propongono come inseparabili appendici, ma piuttosto che facilitare le cure, si trasformano in “nemiche della terapia” , un ostacolo alla guarigione del paziente.
Quando diventa allora legittimo parlare di dipendenza patologica nelle relazioni interpersonali?
L’oggetto di dipendenza, quindi anche il partner, deve soddisfare almeno tre bisogni fondamentali:
- il primo e più evidente è quello legato al dare piacere intenso o alleviare un disagio (felicità o anestesia, appagamento ideale o pace dell’anima);
- il secondo è un tentativo di ribaltare il gioco relazionale dal quale ci si sente schiacciati, vittime designate. Un partner “giusto” può riscattare un’intera vita anonima e piena di sofferenze;
- il terzo è quello che si gioca sul piano dell’identità, della trasgressione. Il partner può restituire, anche attraverso l’infrazione di regole, un “altra” identità, questa volta più salda, forte e rassicurante.
«Essendo capace di soddisfare tutte queste esigenze, l’oggetto delle brame diventa il protagonista assoluto della vita» .
Molti autori hanno definito la co-dipendenza come condizione multidimensionale disfunzionale che ruota intorno ad una sofferenza soggettiva dovuta a una focalizzazione sui bisogni o comportamenti altrui. Il codipendente viene in genere descritto come colui che ha permesso al comportamento dell’altro di influenzarlo e che è ossessionato dal desiderio di controllare quello stesso comportamento. Il vissuto soggettivo è quello di un vuoto depressivo compulsivamente “riempito” dall’oggetto. Nella co-dipendenza l’individuo non realizza più se stesso, ma tutto il suo corpo e tutta la sua mente sono per l’altro, per la sua realizzazione o meglio per la sua “guarigione”.
Queste dinamiche ci rimandano a peculiari funzionamenti delle coppie, ovvero alla formazione di un patto inconscio, di un campo psicologico interpersonale che compromette gravemente una modalità separata, autonoma di funzionamento a favore di una modalità fusa e confusa.
Sembra fondamentale dare rilievo ad un aspetto centrale nelle dipendenze, ovvero la magia dell’incontro con l’altro. Con questo si intende dare risalto al “potere” che l’altro “possiede” di sanare le ferite, di saldare le fratture interiori, di risolvere i problemi dell’individuo. È un potentissimo incontro che crea l’illusione di far superare tutto ciò che appare irrisolto e fonte di sofferenza. La letteratura riferisce che la storia familiare di queste pazienti è connotata dall’aver fatto fronte a problematiche gravi dei genitori: un padre alcolista e/o violento, una depressione della madre, lutti mai elaborati, sofferenze che hanno in ogni caso accentrato su di sè l’universo emotivo del figlio . L’incontro con il partner appare come la magica soluzione di questa sofferenza. Quindi i due partner si incontrano e si “uniscono” sulla percezione “fondata” che l’altro lo abbia improvvisamente guarito, facendo reciprocamente accantonare un passato cupo e triste, che rimandava un’immagine di sè vuota e priva di valore. Il desiderio di rimanere “fuso” con il partner e quindi tutte le strategie di controllo che si mettono in atto per ottenere questo fine, rappresentano acting utili a mantenere la percezione di sentirsi “sanato” .